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Geithner: le banche fanno lobby
Devono accettare nuove regole

dal nostro inviato Mario Platero

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5 ottobre 2009

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Lei ha detto che il Board diventerà il quarto pilastro di Bretton Woods. In che termini?
È vero. Ho parlato di quarto pilastro di Bretton Woods, ma ci sono in realtà delle differenze giuridiche: Bretton Woods aveva la forma di un trattato che andava ratificato dai parlamenti, per il Financial stability board non volevamo quel genere di complicazioni. Completa un quadro e deve completarlo al più presto con riforme finanziarie, regole, limitazioni, incentivi. Una struttura istituzionale è importante. Ma è più importante avere le regole, fare le cose presto e bene.

Da più parti le banche resistono, troppi limiti che rischiano di paralizzare il credito e la crescita. Si tratta di resistenze reali o di semplice lobby?
Credo si tratti di lobby. È legittimo cercare di essere informati e di influenzare un processo: e' vero, possono esserci dei rischi per l'innovazione finanziaria e dunque le banche parlano di problemi di efficienza nell'allocazione delle risorse e di problemi per la crescita. Ma la questione più importante anche per loro è un'altra: se non si raggiunge e non si garantisce una stabilità di base, diventerà più difficile allocare capitali sul mercato. Questo processo dunque è nel loro stesso interesse. Con una osservazione: le regole non le fanno le banche, le fanno i governi.

Lei ha anche detto che è nell'interesse dei singoli paesi cambiare.
È vero e il presupposto per il successo poggia su un'unica forte realtà: le cose funzioneranno meglio se lavoreremo insieme. Anche durante la crisi abbiamo visto quanto sia stato impossibile per un singolo paese cercare di tirarsi fuori da solo. Occorre convincere tutti che il loro interesse individuale poggia su un'azione collettiva. Questo ci servirà per affrontare meglio il rischio di prossime bolle. E dunque proviamo un nuovo quadro sistemico, abbiamo creato il G20, abbiamo la sfida di fare delle cose insieme, la crisi era così difficile da averci portato verso un interesse collettivo per evitare la prossima crisi. E dunque avremo cambiamenti. In America risparmieremo di più e ci indebiteremo di meno, la Cina cercherà di essere meno dipendente dalle esportazioni e di promuovere la domanda interna, e così via. Tutto ciò per rendere il futuro della crescita più sostenibile.

È vero che il problema centrale resta quello dello squilibrio commerciale Cina Stati Uniti?
No. Ci sono altre regioni: Giappone e Europa da soli rappresentano il 40% dell'output mondiale...

Parliamo del dollaro sempre più debole e dell'Sdr, il paniere delle principali valute che i cinesi vorrebbero adottare come nuova valuta di riferimento dei mercati finanziari e commerciali per superare le vulnerabilità del sistema monetario internazionale...
Ho già detto che siamo per un dollaro forte. Ma questo ci porta delle responsabilità dirette. Dobbiamo essere molto attenti nel sostenere la fiducia e la Fed nel difendere la stabilità dei prezzi. E dunque abbiamo delle missioni precise: riusciremo ad avere i giusti fondamentali economici, le giuste politiche, un'ampia base di stabilità? I governi faranno quel che debbono fare per sostenere la fiducia. Per quel che ci riguarda sappiamo che molti investitori credono che mercati con tanta liquidità offrono stabilità e noi dei progressi li abbiamo già fatti, il disavanzo delle partite correnti è passato dal 7% del Pil al 3,5%.

E' vero che gli Stati Uniti vogliono mantenere una egemonia economica che non gli appartiene più?
Il nostro primo dovere è dare ai nostri cittadini garanzie, poi dobbiamo esercitare un'influenza internazionale: dobbiamo portare sul tavolo delle idee nuove attorno alle quali creare consenso, infine dobbiamo tornare alla nostra strategia di base: l'abbiamo espressa 60 anni fa quando abbiamo impostato un sistema multilaterale con degli standard comuni, la esprimiamo oggi con un Presidente pronto a cooperare anche a costo di gravi problemi interni.

Ma è immaginabile che l'America lasci la sua presa sul Fondo monetario?
Abbiamo circa il 18% del capitale del Fondo. Questo vuole dire che non sarà poi molto difficile per dei paesi organizzare una coalizione per superare quella percentuale. Sottolineo che la nostra quota è più piccola in proporzione a quel che facciamo, contribuiamo alla formulazione di consensi fra vari paesi, siamo stati una forza importante per tornare alla stabilita' finanziaria. Non credo che oggi vi sia in discussione l'idea che prevede un ruolo minore per gli Stati Uniti... Aggiungo, non forziamo nessuno a far nulla, è vero che l'America ha avuto certe responsabilità per questa crisi. Lo abbiamo ammesso. Ma voglio anche dirle che in molti paesi i rapporti di capitale o di indebitamento erano molto peggio dei nostri.

  CONTINUA ...»

5 ottobre 2009
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